lunedì 29 ottobre 2007

Gli anfibi di Babsi Jones e la poetica dell'autore nella letteratura (?) del XXI secolo


Post di riepilogo ad uso (anche) personale.


Su Carmilla, Sbancor recensisce il romanzo di Babsi Jones, usando termini come "sinapsi" e "paradigma".

Reazioni: i commentatori si scatenano su Cabaret Bisanzio, Babsi Jones chiude il suo blog, intervengono Wuming1 e La Lipperini (solo come commentatori su CB).

La discussione esplode in vari rivoli. Eccone alcuni.

1) Il romanzo di Babsi Jones è un romanzo importante. Farci su un pezzo di satira è sbagliato, perché distoglie l'attenzione dal contenuto vs. Il romanzo sarà importante, ma viva la libertà di satira.

2)
Il pezzo di Sauro vuole "colpire" Babsi Jones, in realtà Sbancor fa solo da tramite
vs. Sauro manco la conosce Babsi Jones, figurarsi se le vuole male.

3)
L'unico possibile oggetto di recensione deve essere il romanzo
vs. Ormai l'opera è parte di un pacchetto che comprende il book trailer, le interviste, il blog. In qualche modo, anche le scarpe indossate dall'autrice fanno parte della sua poetica e sono "recensibili".

4)
Ma Babsi Jones ci sta male
vs. Chissenefrega, questo è il prezzo da pagare, ormai sei un personaggio pubblico.

5)
Il romanzo è politicamente importante quindi chi parla del suo valore estetico è un fascista
vs. Un testo che ha valore documentario non necessariamente ha valore estetico e voglio sentirmi libero di parlarne quanto mi pare.


La discussione prosegue su paese d'ottobre orientata da Seia e dai suoi commentatori verso i punti 3), 4), 5).

Questo il mio commento.

In tempi pre-media, anche soltanto un paio di decenni fa, l’autore si metteva in gioco solo col romanzo. L’autore era solo il nome in alto, il romanzo e poco altro.

Oggi non è più così: l’opera trascende il romanzo cartaceo. È un po’ come per i quotidiani: oggi assieme al giornale ti danno il settimanale, i supplementi, il DVD. Ognuna di queste cose DETERMINA la percezione pubblica di quel quotidiano, è giudicabile assieme al quotidiano. Se XL fa schifo, allora anche Repubblica fa un po’ schifo.

Un autore che all’uscita del romanzo sincronizza azioni come: 1) l’apertura di un sito web; 2) la chiusura del blog; 3) la pubblicazione di interviste e di foto; 4) la produzione di un booktrailer, in fondo dovrebbe attendersi un giudizio sul PACCHETTO COMPLETO. Questo vale anche per Manituana e relativi sito e booktrailer e per tutti gli scrittori che offrono “allegati” assieme al libro.

Il problema è che Babsi Jones ha offerto se stessa come allegato*, forse senza valutare le conseguenza. Questo non legittima gli insulti però forse legittima chi -pacatamente- giudica il pacchetto completo.

Corollari:

Edo su CB
Sauro su piccolo blues
Il commento di irene su CB

*sul book trailer c'è lei, con la sua vera faccia.

Caro Baudo, sono solo facce e storie


"L'isola dei famosi" e Stefano che suona il violino sono fatti della stessa materia prima".


Domenica pomeriggio. Pippo Baudo introduce il maestro Caruso che mostra un violino, "un gioiello della liuteria italiana".

Insieme annunciano una grande sorpresa: fra poco, i telespettatori avranno la fortuna di assistere ad un grande evento culturale.
Quel violino verrà suonato da un grande artista.

Sento immediatamente puzza di bruciato.

Ma ecco che arriva l'artista. Si tratta di un ragazzino di 12 anni: Stefano, un "precocissimo genio del violino". Non dice una parola, tanto che Lucia mi chiede se è muto. Non credo, altrimenti Baudo l'avrebbe buttata sicuramente sul patetico:

"Precocissimo genio, muto dalla nascita!"

Stefano imbraccia il violino e suona il suo pezzo.

E poi Baudo dice:

"Abbiamo voluto invitare Stefano perché altrimenti la gente crede che in tv ci sono solo Isole dei famosi"

Ecco, l'ha detto. E io mi sento preso in giro. Baudo vuol farmi credere che questo spettacolino di 120 secondi, ascoltato mentre io lavo i piatti e Lucia stira la sua gonna, e mentre decine di migliaia di spettatori russano sotto un plaid, sia "cultura alta". Questo frammento televisivo, tra l'intervista ad un attore e una televendita, sarebbe l'esatto contrario de L'isola dei famosi: Stefano è cultura, L'isola è barbarie.

Mi sento preso in giro. C'è veramente una differenza di principio tra L'isola dei famosi e Stefano che suona il vionino?

Trasmettere in tv "Nessun dorma" è possibile, ma attraverso la tv, l'Opera si riduce al personaggio Pavarotti: la tv non può rendere gli scricchiolii del legno, i colpi di tosse del pubblico, il velluto delle poltroncine. L'impressione che la struttura dell'intero teatro stia vibrando dalle fondamenta non può arrivare in tv, per banalissimi motivi tecnici. Il teatro resta dov'è e la tv trasmette solo la faccia di Abbado.

La cultura del teatro resta dov'è (a teatro) e quello che arriva in tv è cultura televisiva, fatta di storie e di facce. In tv puoi mostrare gli spezzoni di un concerto e l'intervista all'artista (la faccia dell'artista): crei un personaggio e ne racconti la storia.

Quello che Baudo ha presentato ieri a "Domenica In" sono la storia e la faccia di un ragazzino di 12 che suona il violino. Nient'altro.

Ed è soltanto su questo piano che posso fare confronti. Ora, la mia impressione è che la storia e la faccia di Stefano siano state banalizzate, raccontate in fretta e male. E che certe storie raccontate dai reality siano persino meglio.


L'isola dei famosi e Stefano che suona il violino sono fatti della stessa materia prima.

Tutto questo Pippo lo sa.

(Ma ne siamo sicuri? In effetti non ne ho le prove. E Baudo non brilla certo per originalità, niente di strano che intenda la tv come la si intendeva 60 anni fa. Niente di strano che Pippo Baudo non sia, in fondo, un po' sopravvalutato).


giovedì 25 ottobre 2007

Quattro buoni motivi per andare a vedere Ratatouille


Per prima cosa Ratatouille è divertente, spettacolare, ben fatto. Non manca un rassicurante lieto fine. Per cui è un perfetto cartone per bambini. Ma si presta a svariate letture, meno bambinesche.


Innanzitutto una lettura culinaria. Mi fa notare Cavoletto (il mio riferimento web-culinario) che in Ratatouille c'è una gran cura e precisione in tutte le informazioni che riguardano il cibo e il mondo della ristorazione:

"nel film, ad un tratto vedi il topolino che prende una teglia, ci fa colare qualcosa che sembra una salsa al pomodoro, ci adagia delle rondelle di verdure, ricopre il tutto (cosa che mi ha letteralmente basita, cavoli stiamo parlando di un flm per bambini!) con un foglio di carta da forno, e in finis serve una torretta (tipo millefoglie, o quasi) di una cosa che potrebbe si essere ratatouille ma di certo non una ratatouille classica."

Be', Cavoletto è una che non si accontenta. Fa una ricerca, scopre il nome del consulente gastronomico del regista, cerca il suo libro di ricette e ripropone sul blog una "Ratatouille di Ratatouille" filologicamente impeccabile.



Terza lettura
. Per Leonardo, R. è una metafora dell'emigrazione e dei relativi problemi d'integrazione. Il topo Remi lascia la sua famiglia e si inserisce nel mondo degli umani. Presto scopre di non essere né un vero topo né un umano, non è a casa né con gli uni né con gli altri. I topi di R. non sono "antropomorfizzati". Sono ratti. In cucina non possono stare, sono bestiacce sporche e immonde.
Emigrazione. Integrazione.

Quarta lettura. Ratatouille è una metafora della rivoluzione popular, quella rivoluzione celebrata dalla copertina del Times, Person of the year 2006: YOU. "Il ristorante è un tempio e io sono il sacerdote" dice il critico Anton Ego, non tutti possono essere cuochi, figurarsi un topo. Ma alla fine imparerà che tutti possono cucinare e chi ha talento può diventare un grande cuoco. Anche un topo.
Ne riparlerò nella prossima puntata.

martedì 16 ottobre 2007

Il tramonto del linguaggio e la sovrainterpretazione

Da Seia c'è un dibattito che mi diverte sempre.
(Nota: conosco solo due persone con delle vedute DIAMETRALMENTE opposte dalle mie. Una l'ho sposata il 10 agosto 2007, l'altra è Seia, e sta per sposarsi anche lei. Mi piacerebbe conoscere il promesso).


Anche io mi sono imbattuto in una frase che mi ha causato l'orticaria. Eccola.

"Con lo smarrimento della finitezza dell'uomo si smarrisce anche la sua originaria relazione all'essere, infatti proprio perché l'uomo è finito non produce la manifestazione dell'essere dell'ente, ma lo lascia essere integralmente così com'è, nel suo irriducibile accadere. L'essere infatti si dà (es gibt) solo dove è disposto un accoglimento, ma dove l'accoglimento è soppresso, come nel caso di Hegel, allora ciò che si dà non è l'essere, ma ciò che l'uomo dice dell'essere."

Umberto Galimberti - Heidegger, Jaspers e il tramonto dell'Occidente - Il Saggiatore.

Ora. Che motivo c'è di abusare di una parola vaga come "essere", senza mai spiegarne il significato? E che dire della parola "ente"?
Non basta dire "l'uomo non può sapere tutto delle cose, ma può coglierne solo un senso provvisorio e circostanziato"?

Perché inventarsi un'entità misterosofica (l'essere) e un corpo contundente non identificato (l'ente)? Che bisogno c'è di tradurre "si dà" in tedesco? Che bisogno c'è di dire che "l'uomo non produce la manifestazione dell'essere dell'ente"? Io del resto me ne guardo bene, dal fare simili porcherie.

Ormai il libro l'ho comprato, l'ho letto, l'ho persino digerito. Ma una cosa devo farla. SCONSIGLIARNE L'ACQUISTO.

Perché trovo stupido esprimere concetti complessi in modo astruso. Ma esprimere concetti semplici in modo astruso è veramente disonesto. Ed esprimere concetti banali in modo astruso è terribilmente perverso.

lunedì 8 ottobre 2007

Torta all'uva fragola e meditazioni sul fragolino


Cerco una dritta per preparare la copertura di questo cheese cake (di cui conosco una versione ai frutti di bosco) e mi imbatto in una curiosa storia sul fragolino.


Scopro che il fragolino non è (solo) una bevanda frizzante a base di vino e aroma di big babol. Questo breve riassunto mi lascia di stucco. E questo appassionato elogio del (vero) fragolino mi ha riempie di sdegno.
In breve: il fragolino è un vino ottenuto dall'uva fragola (Vitis, lambrusca), un vitigno importato dall'america all'inizio del XX secolo, quando i nostri vitigni (Vitis, vinifera) rischiavano l'estinzione a causa di un'epidemia di fillossera.
La vite americana ha le radici resistenti alla fillossera, per cui alcuni si limitano ad innestare la vite americana con i nostri vitigni, altri prendono a coltivare la vite americana tout-court e a farne del vino.

Be', oggi commercializzare il fragolino è vietato, presumibilmente per proteggere i vitigni autoctoni. Ovvero, si proteggono i vitigni autoctoni da un vitigno importato un secolo fa, grazie al quale i vitigni autoctoni sono stati salvati dall'estinzione.

A chiudere il cerchio, s'è diffusa la leggenda che il "vero" fragolino contenga troppo metanolo e "concentrazioni tossiche di tannini". A parte il fatto che invito chiunque ad assaggiare un vino di Pachino prima di parlare di concentrazioni tossiche di tannini, mi chiedo come sia possibile che gli svizzeri (gli SVIZZERI) o gli austriaci non se ne siano accorti e bevano fragolino a tutto spiano, anche se lo chiamano "Uhudler".

Vabbe'. Nel frattempo, prendo un etto di chicchi d'uva fragola, li schiaccio per bene con le mani in un pentolino, aggiungo un etto di zucchero, una stecca di cannella e faccio cuocere cinque minuti. Poi tolgo la zuppa dal fuoco, aggiungo un foglio di colla di pesce e quando si scioglie la passo al colino. Appena si raffredda la verso sul cheese cake. Profumo.

Be', viene voglia di andare in Svizzera e comprarne una bottiglia, di questo misterioso fragolino
.

lunedì 1 ottobre 2007

Giovanni Allevi: un week end all-inclusive nel magico mondo del pianoforte.


Mi imbatto in questo post su "le Malvestite" e mi rendo conto che Betty Moore dà corpo a una serie di riflessioni che mi girano in testa da quando ho assistito al concerto di Giovanni Allevi.


Riassumo.

Allevi sembra il più grande apologeta di se stesso. Prima di ogni brano, "racconta ridicole storielle che spara via sicuro ed allenato, senza alcun imbarazzo (pur mantenendo i segnali esteriori della Timidezza, che è forma inevitabile del Geniale Compositore)".

Le storielle di Allevi "sono i mattoncini che servono a tirar su questo simulacro,
genio sì ma un po’ folle e pazzerello [...] un po’ schivo, scanzonato e timiduccio". Anche un po' autistico alla Rain man, tant'è che "per aderire al personaggio, oscilla tatticamente avanti indietro quando sta in piedi, racconta di essere affetto da disturbi ossessivo compulsivi".

"È oscenamente fiero del suo minuscolo intellettualismo da dizionario d’aforismi (”come dice Platone - frase fatta”, “come dice il Heidegger - frase fatta”).

Questo è -o
vuol sembrare- Allevi: un idiot savant col talento del piano, che nel tempo libero legge Heidegger e riesce anche a empatizzare col filosofo. Provare per credere.

Insomma, secondo Betty Moore, Allevi ci fa. E io non ho molto da aggiungere.

Ma a questo punto voglio sapere perché Allevi riempie le platee di spettatori adoranti. Non credo che bastino un costume da artista pazzo e qualche motivetto facilone e abborracciato, così sarebbero tutti bravi.

E allora?
Allevi offre allo spettatore un
pacchetto all inclusive. È come un'agenzia di viaggi che propone un week-end archeologico, comprensivo di guida vestita da Indiana Jones. Compri un biglietto di Allevi e ti trovi tra le mani 1) un percorso guidato, tra spunti jazz, rimandi a Chopin, strizzate d'occhio al pop (il terreno su cui il pubblico si trova più a suo agio); 2) un pianista che ha l'aspetto dell' "autentico artista" secondo lo stereotipo tardoromantico, un po' pazzo e anticonformista, timido e impacciato; 3) Qualche citazione filosofica, ma abbastanza facile, in modo da compiacere il pubblico, anziché allontanarlo con astrusità. Una vacanza nel magico mondo della cultura.

Insomma: Allevi coccola e compiace il suo pubblico. Da un concerto di Allevi si esce soddisfatti: la musica è gradevole e familiare, il pianista è buffo e le citazioni sono comprensibili. Aroma al gusto di cultura tra gli ingredienti.

Non credo si tratti delle stesse sensazioni provate ai concerti di un vero pianista autistico e un vero compositore d'avanguardia, tipo Glenn Gould che suona un'opera di Alban Berg. Con questi due è facile sentirsi dei deficienti. E dal concerto si esce spiazzati, confusi, storditi.

Allevi-Gould: 1 a 0 e palla al centro.


Approfondimenti:
"I barbari" di Alessandro Baricco, pubblicato per intero su Repubblica.it