lunedì 30 marzo 2009

Pacco siciliano #2 - Natura morta ragusana


Lucia: Ehi! Sono tornata!

Renzo: munch-munch-munch


Lucia: Ooh! Ci sei? Sai chi è venuto oggi a lavoro?


Renzo: munch-munch glomm! Burp.


Lucia: Ehi, ma neanche mi saluti?


Renzo: glu-glu-glu-glu, munch


Lucia: Ah, eccoti. Dicevo, sai chi... ma cosa mangi? Ommioddìo, chi hai svaligiato?


Renzo: Ciao, munch-munch, guadda cofa è arrivato, munch-munch


Lucia: Vedo, del cibo.


Renzo:
Del cibo?! 'I ciappi, 'i passuluna, 'u cosacavaddu, 'u calaurisi, 'u tumazzu che' sbiezzi, 'u broulu e la marmellata d'arance.


Lucia: See, vabbe',
satterre, mannago, osumana, carraro, sonnino, patagarro e la marmellata d'arance. Che lingua è?!?


Renzo: I pomodori secchi, le olive nere appassite, il caciocavallo ragusano, il Cerasuolo di Vittoria, la toma con il pepe nero, la provola e la marmellata.


Lucia: Farsi l'amante come tutti no?

sabato 28 marzo 2009

Ora faccio un po' di storia dei vigneti

«Ora faccio un po' di storia dei vigneti.
[...] A quei tempi (parlo del periodo prima della seconda guerra mondiale e di qualche anno successivo) in gran parte del paese specie in periferia, non esisteva la fognatura e si ovviava all'inconveniente con "i vutti" (carri bottino), che consistevano in botti con una larga apertura nella parte superiore, trainate da muli, ed erano di proprietà del Comune il quale vendeva il contenuto ai proprietari che ne facevano richiesta. Il pino Angelino Dierna spesso comprava questo concime.
Questi carri-bottino di notte giravano per il paese a raccogliere... quello che si metteva davanti la porta di casa in recipienti ad hoc. Per potere fare maturare questo concime, si comprava prima la spazzatura che i netturbini raccoglievano nelle strade, e si sistemava in modo da formare un grande quadrilatero, nel centro si versavano i carri-bottino e poi il tutto si copriva con altra spazzatura.
Il pino Angelino diceva che la vigna "'nfirucìa" dopo questa concimazione, cioè rendeva moltissimo.»

da Ricordi del tempo perduto, di Giovanna Paravizzini Dierna

giovedì 26 marzo 2009

Pacco siciliano #1: AVANTI SAVOIA!



C'è questa consuetudine tutta sicula del
pacco.
I siciliani hanno l'emigrazione nel DNA, infatti un proverbio siciliano recita «
cu nesci arrinesci»*. Purtroppo l'emigrazione implica la perdita della vera gastronomia. Per un siciliano (o meglio, per la mamma di un siciliano) in Sicilia si mangiano i dolci più buoni, la migliore rosticceria, la frutta più fresca, il pane più fragrante, l'olio più leggero e il vino più sincero. Le olive continentali nun sànu di nenti **(questo è vero), il caffè continentale è acqua lurda*** (anche questo è vero) e il formaggio continentale è plastica (questa è una minchiata).
Conosco gente che si fa spedire il parmigiano reggiano, perché
quello siciliano è più buono.

Una volta, una mia amica mi disse che la pizza,
qui al nord, non le veniva buona come in Sicilia, pur utilizzando la farina, il lievito e la provola del pacco della mamma. Secondo lei era determinante l'acqua siciliana. L'acqua siciliana. Quella schifezza che ristagna nei serbatoi di Eternit condominiali. Sarà.

Noi (nel senso di Renzo e Lucia) non siamo a tali livelli di patologia. Tuttavia, il microscopico uliveto di famiglia, confinante con le tenute Pianogrillo, è fonte di soddisfazione e orgoglio. L'olio che una volta l'anno sgorga dal frantoio pubblico è un ottimo pretesto per reclamare la spedizione di un pacco.

Insomma, arriva questo pacco siciliano.
Adocchiamo subito subito un oggetto confezionato con una carta che reca una dicitura molto evocativa: Pasticceria Giovanni Di Pasquale - Ragusa. «Oddìo, Di Pasquale!», «Maffigurati, hanno riciclato la carta», «E allora che c'è dentro?», «Crostata di mele, ascolta un cretino».
Ci decidiamo ad aprire: niente crostata della mamma. Quello che vedo è una lastra nera e lucida, su cui è scritto in bianco "Savoia". La torta Savoia della pasticceria Di Pasquale.

Pare che fosse la preferita di Leonardo Sciascia, la spediva agli amici in uno di questi pacchi siculi.
Non c'è Sacher che tenga. Non c'è caprese che tenga. Non c'è Foresta nera che tenga. La Savoia Di Pasquale è l'unica alternativa al Domori puro.

Nella
comune torta Savoia il pan di Spagna è la sostanza e la gianduia è il ripieno; nella Savoia Di Pasquale la sostanza è la gianduia, il pandispagna è ridotto ad un nulla, dimenticata la funzione nutritiva rimane solo quella estetica: il marrone uniforme spezzato dalle sottilissime, eleganti righe di pandispagna. In definitiva, la Savoia Di Pasquale è un cioccolatino gigante di fondente extra ripieno alla gianduia. Una fettina = 6 cioccolatini.


fine prima parte

* chi esce riesce, cioè chi emigra ha successo
** non sanno di niente
*** acqua sporca

sabato 21 marzo 2009

Tartiflette e inquadramenti professionali del nuovo secolo


Sabato mattina, Renzo fa la spesa.
Da solo: Lucia, da buona piccola partita iva, è a lavoro anche il sabato.
Renzo non è una piccola partita iva, ma un ricercatore precario.

Nuovo secolo, nuovi inquadramenti professionali.
- Pa', da grande sarò un ricercatore precario e sposerò una piccola partita iva.
- Eeeeh? Ch'hai detto?

Il ricercatore precario ama il suo lavoro e non reprime una punta di orgoglio quando vede scappare da lavoro certi TA (tecnici assunti), un minuto prima dello scadere delle otto ore (il tempo del tragitto fino alla timbratrice). Tuttavia il sabato non lavora. Per lo meno non tutti i sabati.

Quindi la spesa tocca a Renzo e Renzo è ben felice di farla.
Legge la lista della spesa: patate per il purè; cipolle (sedano, carote e cipolle non devono mai mancare); panna; pancetta affumicata per la carbonara; taleggio, perché Renzo ama il taleggio. Anche il gorgonzola, per la verità.


Patate, cipolle, panna, pancetta, taleggio.

La carbonara la facciamo un'altra volta.

Tornato a casa va a rileggersi quel post di Cavoletto. Dice: «Far cuocere le patate intere, con la buccia, in acqua bollente [...] far rosolare la pancetta [...] poi aggiungere la cipolla [...]»

Troppo lungo. Il bello di una cosa al forno è che la schiaffi in forno e fai altro.
Quindi Renzo affetta le patate crude, la cipolla cruda, la pancetta cruda e il taleggio. Riveste la sua fida teglia ø 18 cm apribile con carta da forno. Imburra e spolvera di pan grattato, butta via quello che non resta attaccato alla carta imburrata. Poi stratifica: patate, sale, panna, cipolle, formaggio. E ancora: patate, sale, panna, cipolle, formaggio. Un ultimo trato di patate e sopra tutto, la pancetta a listarelle sottili, il formaggio e il pan grattato. Poi in forno, 180 °C per 90 minuti.

Non è che Renzo abbia meditato molto sul tempo di cottura, è uscito per un'ora e mezza e al suo ritorno il risultato era sufficientemente crostoso. La cipolla aveva l'odore della cipolla sulla focaccia alla cipolla, la panna era quagliata e la pancetta s'era abbrustolita da sola, senza interventi esterni.

Un piatto che si cucina da solo.

Ah, ehm. Avvertenze: si rutta cipolla al forno per un paio di giorni. Per il resto è ok.


mercoledì 18 marzo 2009

Life will love you back - the cathouse


Finalmente è uscito. L'attesa è stata veramente lunga, ma ne è valsa la pena.


Aggiornamento:
Ok, sveliamo il giochetto.
Ne parla la Lipperini. Si tratta di comporre la copertina di un disco con elementi casuali, in tre passi:

1) La prima voce random Wikipedia è il nome del gruppo. A me è uscito "Cathouse", che vuol dire bordello, ma è anche una serie tv.
2) Su Random quotation, le ultime parole dell'ultima citazione ti danno il titolo dell'album. A me è uscita una citazione di Arthur Rubinstein, il pianista. "I have found that if you love life, life will love you back". Non male. Life will love you back: beatlesiana.
3) Per finire, su flickr, si va sulle cose interessanti degli ultimi sette giorni, la terza immagine della pagina, qualunque sia, è la copertina. A me ne è capitata una che sembra la copertina di un vinile dei Pink FLoyd. Bellissima. Ovviamente non ho avuto la fortuna di beccarne una in copyleft, ma l'ho presa lo stesso. Spero che l'autore non se la prenda a male, diversamente cancello rapidamente.

martedì 10 marzo 2009

Non lasciate che gli storpi vengano a me.

Sì, lo so: occorre contestualizzare, inserire questi brani biblici nell'adeguato contesto storico-antropologico. Sì, d'accordo: si tratta più che altro di norme a carattere igienico-sanitario, rozze precauzioni adottate da società primitive.

E ammettiamolo: questi brani dell'AT non mi scandalizzano per nulla.

Però è più forte di me: provo un divertimento sadico nel farli leggere a chi so io*, obbligando la suddetta persona** a correre dal prete, bibbia aperta in mano e indice puntato, per chiedere spiegazioni.

«Non offrite al Signore animali ciechi, storpi, mutilati, ulcerati, scabbiosi o purulenti, e nulla di essi deporrete sull'altare per il Signore come dono. [...] Non offrite al Signore animali i cui testicoli siano rientrati, schiacciati, strappati o tagliati.»
Levitico 22, 22

«Nessun uomo della discendenza di Aronne che abbia un difetto si avvicini per offrire il nutrimento del Signore: ha un difetto, non si avvicini per offrire il cibo del suo Dio. Potrà mangiare il nutrimento del suo Dio, sia delle cose sacrosante che delle cose sante, ma non si rechi al velo e non si avvicini all'altare, perché ha un difetto e non profani i miei luoghi santi, perché io sono il Signore che li santifico.»
Levitico 21, 21



* Non si tratta di Lucia

** La suddetta persona è la madre di Renzo

mercoledì 4 marzo 2009

Che figli di Aronne.


Renzo: I peccatori* dovevano espiare con un sacrificio. In sintesi davano un agnello o un montone al sacerdote (un piccione se erano poveri), e il sacerdote attaccava col rituale. L'animale veniva sgozzato ed eviscerato e il grasso veniva bruciato sul fuoco come "profumo soave per il Signore".

Lucia: "Profumo soave per il Signore"?

Renzo: Be', proprio schifo non doveva fare: odore di sasizza alla brace. M'immagino Dio che sciaurìa con l'acquolina in bocca.

Lucia: Mavalà, non ci credo...

Renzo: Telchì. Antico testamento, levitico, primo capitolo. Ed è ripetuto in tutto il libro, decine di volte.

Lucia: Vabbe', e poi?

Renzo: Con il sangue bagnavano i corni dell'altare e cuocevano la bestia. E siccome il profumo metteva l'acquolina anche a loro, poi se la pappavano.

Lucia: Si mangiavano il sacrificio?

Renzo: E che, lo buttavano? Quando tu dài l'offerta al prete, lui che fa, la butta? Se la pappa!

Lucia: Ma smettila, sei blasfemo!

Renzo: Levitico, capitolo 8, versetto 31: «Poi Mosè disse ad Aronne e ai suoi figli: "Fate cuocere la carne all`ingresso della tenda del convegno e là mangiatela con il pane che è nel canestro dell`investitura, come mi è stato ordinato. La mangeranno Aronne e i suoi figli». Capito? Glielo aveva ordinato Lui in persona! Che obbedienza! Che sottomissione!

Lucia: Non doveva essere male fare il sacerdote.

Renzo: Infatti era una casta. Diventavano sacerdoti solo di figli di Aronne. Il levitico è il libro delle regole dei sacerdoti, i leviti, che erano tutti figli di Aronne.

Lucia: Aronne?

Renzo: Aronne. Un parente di Giuseppe, l'amico del faraone.

Lucia: Ah ssì, buono quello.



* Il concetto di "peccato" era molto diverso. Peccatore era chi aveva rubato, chi aveva ucciso e il sacerdote era più che altro un giudice facente veci del Giudice Supremo.