giovedì 31 gennaio 2008

Bisogno di spiritualità.


«Emergenza rifiuti: Un gruppo di manifestanti ha bloccato la ferrovia e l'interporto di Nola»
Renzo
: Sant'Iddìo!

«SME: Berlusconi prosciolto perché il fatto non è più reato»
Renzo
: Gesù!

«Cuffaro: sarà capolista UDC alla camera o al senato»
Renzo
: Cristo santo!!


Lucia: Ehi! Ma ti sembra il caso di nominarLo così tanto?

Renzo: È la situazione generale, acuisce il mio bisogno di spiritualità.

Lucia: E lo esprimi smadonnando, il tuo bisogno di spiritualità?

Renzo: Be', meglio che esprimerlo bestemmiando.

mercoledì 23 gennaio 2008

Etica senza Dio


Padre Paneluox: Forse dobbiamo amare quello che non possiamo capire.

Dr. Rieux
: No, padre, io mi faccio un'altra idea dell'amore; e mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati.

Padre Paneluox
: Dottore [...], ora ho capito quello che chiamano grazia.

Dr. Rieux
: È quello che non ho, lo so bene.

___________

Padre Paneluox
: Anche lei lavora per la salvezza dell'uomo

Dr. Rieux
: La salvezza dell'uomo è un'espressione troppo grande per me. Io non vado così lontano. La sua salute m'interessa, prima di tutto la sua salute.

(Dialoghi tra padre Paneloux e il dottor Rieux, in "La peste" di Albert Camus.)

venerdì 18 gennaio 2008

Infinito


«Un giorno o una notte – tra i miei giorni e le mie notti, che differenza c’è? – sognai che sul pavimento del carcere c’era un granello di sabbia. Mi riaddormentai, indifferente; sognai che mi destavo e che i granelli di sabbia erano due. Mi riaddormentai; sognai che i granelli di sabbia erano tre. Si andarono così moltiplicando fino a colmare il carcere e io morivo sotto quell’emisfero di sabbia. Compresi che stavo sognando; con un grande sforzo mi destai. Fu inutile; l’innumerevole sabbia mi soffocava. Qualcuno mi disse: “Non ti sei destato alla veglia ma a un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all’infinito, che è il numero dei granelli di sabbia. La strada che dovrai percorrere all’indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato.

Mi sentii perduto. La sabbia mi rompeva la bocca, ma gridai: “Una sabbia sognata non può uccidermi, né ci son sogni che stiano dentro sogni!. Uno splendore mi destò».
Continua...

Tratto dal racconto "La scrittura del Dio", L'Aleph - Jorge L. Borges

E ancora su Borges e infinito: Un matematico legge Borges, di Piergiorgio Odifreddi.

mercoledì 16 gennaio 2008

Una crostata di mele, in attesa di tempi migliori.


Lucia: Ehi! Ma ti sei pappato tutta la crostata di mele??

Renzo: munch munch... afpetta... munch cofa... GLOMM! Dicevi?
Lucia: Dicevo che hai fatto fuori tutta la crostata di mele! Cos'è, carenza d'affetto?
Renzo: Be', sai, prima la storia della spazzatura: quel Pecoraro Scanio, Rosa Russo Jervolino che dice «E che sarà mai, un po' di immondizia, ne usciremo!», e gli articoli su Libero...
Lucia: Embè?
Renzo: ...poi questa storia del Papa: i 67 radical-deficienti, Mussi che dice che l'università ha commesso un grave... uno sbaglio gravemente... sbagliato? Boh? Che poi a Benedetto l'ha invitato il Rettore, cioè l'Università... e 67 professori non sono l'Università!
Lucia: Eeeh?! Ma stai bene?
Renzo: Mica tanto...
Lucia: Insomma, ti sei consolato con la crostata di mele.
Renzo: Sì.
Lucia: Be', non c'è che dire: siamo sposati da appena 5 mesi e la tua unica fonte di consolazione è una crostata di mele.

Vabbè. E visto che devo consolarmi anch'io, preparo ancora una

Crostata di mele consolatoria (in attesa di tempi migliori) - ingredienti

Per la pasta frolla:
- farina 00: 250 gr
- burro (bavarese, per carità!) 140 gr
- zucchero: 100 gr
- un tuorlo

Per il ripieno:
- 5 mele
- zucchero di canna
- cannella
- chiodi di garofano in quantità omeopatiche

Prepara la pasta frolla. Be', la pasta frolla è facile: mescola tutto in frettissima e possibilmente con le mani fredde. Qua a Pavia non c'è problema, basta uscire senza guanti. Occhio a non tornare a casa senza mani. Pronto il panetto? Avvolgilo in carta velina e subito in frigo, almeno per un'ora: verrà più facile stenderla e il burro non prenderà a puzzare.
Adesso sbuccia e affetta le mele e prepara gli altri ingredienti.
Rivesti la teglietta con la carta forno.
Stendi la pasta frolla staccando dei pezzi dal panetto e schiacciandoli direttamente sulla teglia. Il fondo fallo sottile, e fai anche un bel bordo alto: cuocendo diventa croccante.
Quindi disponi le fettine di mela, fitte fitte. Spolvera con lo zucchero di canna, la cannella e qualche atomo di chiodi di garofano e inforna a 200°C per almeno 20 minuti. Il bordo deve essere dorato, croccante, profumato!
Ecco, ti tocca avere ancora un po' di pazienza: hai la crostata fumante davanti ma non devi mangiarla. Deve raffreddare: almeno 15' davanti alla finestra aperta. A Pavia. A Catania meglio il frigo.

Ah, dopo aver mangiato la crostata, ci sono due raccomandazioni da tenere presente:

1) Non lavarti subito i denti. Il tuo dentifricio alla menta piperita non si abbina con il sapore caldo della crostata di mele e il profumo di cannella.

2) Niente tv
, niente giornali, niente blog, niente di niente. Guarda fuori dalla finestra e mastica l'ultimo morso. Basta.

venerdì 4 gennaio 2008

Le regole di Updike: una poesia leghista?

Apro a caso "Poesia italiana del novecento", cerco premonizioni per il 2008. Trovo "Furistìr" di Raffaello Baldini.
D'impulso mi dico: poesia scritta da un leghista: Baldini s'infastidisce a vedere facce nuove in giro per il paese.

Poi cambio prospettiva, anche grazie alle regole di Updike.

1) Cerca di capire l'intento dell'autore.
Ok. Mi sembra che si stia lamentando per la presenza di facce nuove in giro per il paese. Si sente usurpato, dice "a sémm ad chèsa nòsta, e’ cmanda ch’ilt",, siamo a casa nostra e comandano loro.

2) Fai degli esempi
Eccoli.

...e quello là,
con la maglia rossa, vieni qui, è un Broggi,
è il nipote di Oreste, no? non è tuo nonno
Oreste? non sei il figlio di Ugo? ma chi sei?


vengono da fuori, qui si vede che si sta bene,
arrivano e non vanno via più, che io la domenica
in piazza quando passo a prendere il giornale,
si vedono di quelle facce,
ma dappertutto, nella banca, nel consorzio,
alle poste, ogni tanto, e quello chi è?

dice: ma questo è egoismo, come sarebbe?
siamo in casa nostra, comandano gli altri,
vengono da fuori e comandano,
m’ha dato dell’egoista, hai capito?

3) Se l'opera ti sembra insufficiente, citane una più riuscita, cerca di capire l'errore. Sei sicuro che sia dell'autore e non il tuo?
Ok. Ecco qua, la più apprezzata di Baldini:

1938
La mèstra ad Sant´Armàid
dal vólti, e´ dopmezdè,
la s céud tla cambra e la zènd una Giubek.
La n fómma.
Stuglèda sòura e´ lèt
la guèrda ch´a s cunsómma.
U i pis l´udòur.
Dal vólti u i vén da pianz.

1938
La maestra di Sant´Ermete
delle volte, il pomeriggio,
si chiude in camera e accende una Giubek.
Non fuma.
Sdraiata sul letto
la guarda consumarsi.
Le piace l´odore.
Delle volte le viene da piangere.

Questa poesia è un efficace ritratto reso in poche righe e...
un momento, un ritratto? E se anche Furistìr fosse un ritratto?
Il ritratto di un vecchietto stralunato, che gira disorientato per il paese, non riconosce nessuno, che sputa qualche sentenza al bar, sui concorsi del comune che vincono sempre "quelli di fuori", e che trova conforto solo al cimitero? Certo, un ritratto meno sintetico, però articolato. Attuale.
Insomma, da qua al dare del leghista al povero Baldini, ce ne passa. Rileggo. Bella è bella, in questo dialetto ostico, arroccato in consonanti impossibili. Maledettamente attuale.

Mi rendo conto che ho trovato la premonizione che cercavo.
E ha la faccia della paura.



Furistìr
(Forestiero)

S’ chi mutéur, una boba, mo l’è pin,
me cantòun ‘d Baruzett

a una zért’òura ta n’i pas, i è ‘lè,
tòtt, ch’i bacàia, i magna di gelè,
i va, i vén, l’altresàira s’a n so svélt,
una frenèda, ció, ta m vén madòs?
pu a so stè ‘lè a guardèl, mè quèst a l cnòss,
tè t si e’ fiúl ad Vitorio, mo sté ‘ténti
quant andè par la strèda, e quèll che là,
sla maia ròssa, vén aquè, l’è un Brògi,
l’è l’anvòud ad Ristín, no? u n’è e’ tu nòn
Ristín, ta n si e’ fiúl d’Ugo? mo chi sit?
e lèu u m’à dètt un nóm, ch’a n m’arcórd piò,
Cavalli? no, Marietti? un nóm acsè,
ch’a n l’éva mai sintéi, Barbieri? gnénca,
dis che e’ su bà e’ lavòura ma la Fisi,
i vén da fura, aquè u s vaid ch’u s sta bén,
i aréiva e i n va véa piò, che mè la dmènga
in piaza quant a pas a tó e’ giurnèl,
u s vaid ‘d cal fazi,
mo dimpartótt, tla bènca, te consórzi,
tal pòsti, d’ogni tènt, e quèll chi èll?
zénta nóva, mai vésta, che dal vólti
a déggh: e’ furistír
aquè a so mè, a n cnòss bèla piò niseun,
mo quéi de pòst, ch’i è nèd aquè, a n’e’ so,
i avrà pò i su dirétt, o u n vó dí gnént?
e te Cuméun, zà che par fè un cuncòurs,
e pu i l véinz ch’ilt, i nóst i è tótt pataca?
l’è mèi stè zétt, va là, che sa Boniniir un èlt pò a ragnémm,

dis: mo quèst l’è egoéisum, cum sarébal?
a sémm ad chèsa nòsta, e’ cmanda ch’ilt,
i vén da fura e i cmanda,
u m’à dè dl’egoésta, t’é capéi?
ch’a so ‘rvènz mèl, fighéurt, che s’u i è éun,

a l déggh sémpra, mè, i à da campè tótt
te mònd, la zénta a vrébb ch’i fóss tótt sgnéur,
a n’ò nisuna invéidia, ò e’ mi lavòur,
l’è che Bonini quant l’à vòia ad zcòrr,
e mè a i casch sémpra,
ènca ir, a m’i so imbatú par chès,
avnéva da e’ campsènt, a i vagh tótt i an,
da la mi mòi, mo u n’è ch’a i ténga e’ còunt,
un an, du an, a vagh quant a me sint,
a ciap sò da par mè, una pasegèda,
aréiv alè, a téir véa, ch’ l’è pin ‘d gramégna,
a i puléss e’ ritràt, pu, a turnè indrí,
a zéir un pó purséa,
mo u i è da caminé, i è sémpra dri
ch’i lavòura, i ingrandéss, i è rivàt
bèla sla strèda, e u i n’è sémpra di nóv,
i scapa fura ad bot, alè, vè, Guàza,
e quèst l’è Diego, l’è parlènt, e quèll
l’è Santarèli, l’è vlú ‘ndè tla tèra,
pu Canzio, Nando Ricci, e aquè u i è Sghètta,
e’ féva Garatoni, a n’e’ savéva,
quèst l’è rivàt a dès, u i è sno un nómar,
l’à da ès Carabéin, i l’à pórt véa
l’altredè, e quèst l’è Otavio, ch’u s stimèva:
a iò e’ dutòur ad chèsa,
e quèll ch ‘lè ch’e’ réid l’è Batistini,
vè Miglio ‘d Bréina, al scòppi ch’avémm fat,
Mòsca, Dirani, mo l’è tótt ‘n’advéuda
aquè, l’è cmè ès in piaza, a i cnòss ma tótt.


Con quei motori, un chiasso, ma è pieno,
all’angolo di Baruzètt
a una cert’ora non ci passi, sono lì,
tutti, che baccagliano, mangiano dei gelati,
vanno, vengono, l’altra sera se non sono svelto,
una frenata, ehi, mi vieni addosso?
poi sono stato lì a guardarlo, io questo lo conosco,
tu sei il figlio di Vittorio, ma state attenti
quando andate per la strada, e quello là,
con la maglia rossa, vieni qui, è un Broggi,
è il nipote di Oreste, no? non è tuo nonno
Oreste? non sei il figlio di Ugo? ma chi sei?
e lui mi ha detto un nome, che non mi ricordo più,
Cavalli? no, Marietti? un nome così,
che non l’avevo mai sentito, Barbieri? nemmeno,
dice che suo padre lavora alla Fisi,
vengono da fuori, qui si vede che si sta bene,
arrivano e non vanno via più, che io la domenica
in piazza quando passo a prendere il giornale,
si vedono di quelle facce,
ma dappertutto, nella banca, nel consorzio,
alle poste, ogni tanto, e quello chi è?
gente nuova, mai vista, che delle volte
dico: il forestiero
qui sono io, non conosco ormai più nessuno,
ma quelli del posto, che sono nati qui, non lo so,
avranno pure i loro diritti, o non vuol dir niente?
e nel Comune, già che per fare un concorso,
e poi lo vincono gli altri, i nostri sono tutti cretini?
è meglio star zitti, va’ là, che con Bonini
ieri un altro po' litighiamo,
dice: ma questo è egoismo, come sarebbe?
siamo in casa nostra, comandano gli altri,
vengono da fuori e comandano,
m’ha dato dell’egoista, hai capito?
che sono rimasto male, figurati, che se c’è uno,
lo dico sempre, io, devono campare tutti
nel mondo, la gente vorrei che fossero tutti signori,
non ho nessuna invidia, ho il mio lavoro,
è che Bonini quando ha voglia di parlare,
e io ci casco sempre,
anche ieri, mi ci sono imbattuto per caso,
venivo dal cimitero, ci vado tutti gli anni,
da mia moglie, ma non è che tenga il conto,
un anno, due anni, vado quando me la sento,
prendo su da solo, una passeggiata,
arrivo lì, tiro via, che è pieno di gramigna,
le pulisco il ritratto, poi, a tornare indietro
giro un po' purchessia,
ma c’è da camminare, sono sempre dietro
a lavorare, ingrandiscono, sono arrivati
ormai sulla strada, e ce n’è sempre di nuovi,
scappano fuori di botto, lì, ve’, Guaza,
e questo è Diego, sembra che parli, e quello
è Santarelli, è voluto andare nella terra,
poi Canzio, Nando Ricci, e qui c’è Sghètta,
faceva Garattoni, non lo sapevo,
questo è arrivato adesso, c’è solo un numero,
dev’essere Carabéin, l’hanno portato via
l’altro giorno, e questo è Ottavio, che si vantava:
ho il dottore in casa,
e quello lì che ride è Battistini,
ve’ Emilio ‘d Bréina, le scope che abbiamo fatto,
Mosca, Dirani, ma è tutto un salutare
qui, è come essere in piazza, li conosco tutti.

giovedì 3 gennaio 2008

Terapie riparative

"Io inizio a provare un senso di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni "subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne so abbastanza."

La prima parte e la seconda parte su Liberazione.

Disfattismo natalizio

Colonnello della GdF: Ormai in Sicilia avete superato da un pezzo il punto di non ritorno.

Renzo
: E quindi ti fai trasferire a Parma.

Colon.
: Non c'è più niente da fare, coltivare la speranza non è realistico.

Renzo:
E quelli che restano? Quelli che non possono andare via? Che altro possono fare se non sperare e impegnarsi nel loro piccolo?

Colon.
: Se ti rinchiudi in una prospettiva individuale si può ancora sopravvivere. Puoi sempre curare l'educazione dei tuoi figli. Ma quando usciranno di casa verranno corrotti dall'ambiente. Non c'è più niente da fare. Sperare è inutile.

Renzo
: Be', sì, sperare e sbracciarsi, rimboccarsi le maniche, e poi non è che nel resto d'Italia si stia...

Colon.
: Pfui. L'unica possibilità è organizzare un centro di fuoco ed escludere il nemico!

Renzo
: Ehm... e allora? Quando partite?

mercoledì 2 gennaio 2008

Il nostro secolo (II)

«Nel nostro secolo [...] gli uomini si sono divisi tutti in tante singole unità, ognuno si ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri, si nasconde e nasconde quello che ha, e così va a finire che respinge lontano da sé gli altri uomini e viene a sua volta respinto, sempre per colpa sua. Accumula ricchezze in solitudine e pensa: «Come sono forte ora, come sono al sicuro!» E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in un'impotenza che è autodistruttiva. Perché si è abituato a sperare solo in se stesso, e si è staccato del tutto isolandosi, ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, negli uomini e nell'umanità, e trema soltanto all'idea di perdere il suo denaro e i diritti acquisiti con esso


Fedor Dostoevskij - I fratelli Karamazov
BUR pag 406-407.



P.S. (1)
Ecco qua. Quando ho letto quel brano mi è apparsa questa immagine, che anni fa è stata utilizzata in una delle campagne pubblicitarie di un "noto franchising immobiliare". Casa come isola di felicità. Delle controindicazione parla Dostoevskij appena sopra.

P.S. (2)
Il primo post dell'anno parla di casa, in qualche modo. Sarà un caso? Quel che è certo è che se il 2007 è stato l'anno della grande cerimonia, allora il 2008 sarà senz'altro l'anno della casa.